‘Piermario per sempre’. La storia di Morosini

da | 14 Apr 2022 | Calcio, In evidenza

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di Marco Frosini

Il piccolo Piermario era nato il 5 Luglio a Monterosso, un piccolo quartiere della periferia nord di Bergamo. Era già stato un anno turbolento il 1986: a Gennaio la tragedia del Challenger, a Marzo la conclusione del processo per l’attentato a Papa Giovanni Paolo II, mentre il 2 Aprile una bomba esplose sul Boeing 747 sopra Corinto. Il 26 dello stesso mese una nube radioattiva alzatasi dal reattore numero quattro della centrale nucleare di Chernobyl, allora Unione Sovietica, aveva costretto all’evacuazione i cittadini della vicina Pryp’Jat’ e di gran parte dell’oblast’ di Kiev. Il giorno dopo la Juventus avrebbe conquistato il ventiduesimo scudetto della propria storia battendo il Lecce 3-2 al Via del Mare con le reti di Mauro, Cabrini e Serena, mentre in Europa si registrò la prima vittoria di una squadra proveniente dal blocco orientale, la sorprendente Steaua Bucarest di Helmuth Duckadam. Era anche l’estate del mondiale messicano, vinto e stravinto dall’Argentina di Bilardo, Maradona, Burruchaga e Valdano. Il 22 Giugno a Detroit la Lotus-Renault di Ayrton Senna vinceva il Gran Premio degli Stati Uniti davanti ai Laffitte e Prost su Ligier-Renault e McLaren.


Già in tenera età Piermario aveva dimostrato di saperci fare con il calcio, tant’è che papà Aldo si decise senza troppe remore ad iscriverlo alla scuola calcio della Polisportiva Monterosso. Era un ragazzo che dimostrava una maturità inconsueta, dovendo provvedere ad un fratello e ad una sorella entrambi affetti da disabilità grave. A nove anni la prima svolta della sua vita: Mino Favini, storico preparatore del settore giovanile dell’Atalanta, si interessa a quell’acerbo terzino destro tanto da convincerlo a vestire la maglia della Dea. Con Favini, Piermario diventerà quel meraviglioso mediano che farà le fortune delle selezioni giovanili degli orobici: uno scudetto conquistato nel 2002 con gli Allievi Nazionali e tante, tante vittorie.

Ma le gioie del campo non colmano il dolore per la prematura perdita di mamma Camilla, alla quale seguirà quella di papà Aldo nel 2003. “Nel giro di due anni ho perso i miei due punti di riferimento più importanti, ora so di esserlo io per i miei fratelli, nonostante sia il più piccolo della famiglia. Per fortuna che in casa ci dà una mano zia Miranda. Ha ottanta e passa anni, quello che ha fatto per noi è straordinario” dirà poco prima del suicidio del fratello nel 2004. Un anno dopo, in una delle prime interviste per il Guerin Sportivo, dichiarerà: “Sono cose che ti segnano e ti cambiano la vita ma che allo stesso tempo ti mettono in corpo tanta rabbia e ti aiutano a dare sempre tutto per realizzare quello che era un sogno anche dei miei genitori. Vorrei diventare un buon calciatore soprattutto per loro, perché so quanto li farebbe felici. Per questo so di avere degli stimoli in più”.
La giovane vita di Piermario è costellata di drammi ai quali reagisce da uomo maturo dedicandosi alla famiglia, allo studio ed al calcio, sua grandissima passione. Cresce con il mito di Roberto Mancini e con la Samp nel cuore, una fede bizzarra per un bergamasco ma dettata dall’amore per quel numero dieci che incantava Marassi e la Genova blucerchiata. In quegli anni ammira però anche altri due grandi argentini passati nel nostro campionato: “Vorrei avere la classe di Redondo e la cattiveria agonistica di Almeyda” dichiara al tempo.


Nel 2005 è la volta di un’altra finale scudetto, stavolta con la Primavera di mister Finardi. “Prima di una finale con la Roma avevo chiesto ai tre giocatori, che avevano portato la fascia da capitano durante tutta la stagione (Lorenzi, Riva e Capelli, ndr), chi volesse indossarla anche in quella partita così importante. E tutti e tre avevano fatto il nome di Piermario” racconterà il tecnico nerazzurro tempo dopo. La finale, giocata il 9 Luglio al Via del Mare di Lecce, verrà vinta dalla Roma per 2-0 con reti di Rosi ed Okaka, ma capitan Morosini sarà premiato come miglior giocatore della finale. Una prestazione sontuosa che porterà di lì a poco ad un’altra importante svolta della sua vita.

La grafica dedicata dall’US Livorno per il decennale della scomparsa del giocatore


Fresco di diploma di Ragioniere, il 1° Luglio Morosini passa ufficialmente all’Udinese con la formula della comproprietà: per la prima volta abbandona la sua Bergamo per realizzare il sogno di una vita, fare il calciatore professionista. In un’intervista afferma: “All’Udinese vado senza troppe pretese, non posso pretendere di giocare subito, ma so che il tempo è dalla mia parte e che dando il massimo mi potrò togliere delle soddisfazioni”. Il 23 Ottobre di quell’anno debutta in Serie A in occasione del match interno con l’Inter (0-1), mentre il 16 Marzo del 2006 fa il suo esordio in una competizione europea nel ritorno degli ottavi di finale di Coppa UEFA contro i bulgari del Levski Sofia (1-2). La stagione si conclude con un deludente decimo posto per i bianconeri e con sole nove presenze per il diciannovenne Morosini tra campionato, Coppa Italia e Coppa UEFA.
La voglia di giocare lo porta ad accettare le lusinghe del Bologna di Ulivieri: con i felsinei Morosini giocherà sedici partite conquistando la promozione in Serie A nel 2006/2007. Il 5  Settembre esordisce con l’Under 21 di Casiraghi che batte 1-0 l’Austria con la rete dell’atalantino Montolivo. Poi due anni con il Vicenza di Gregucci dove colleziona settanta presenze tra campionato e Coppa Italia ed una rete, sua prima ed unica in carriera, nel pareggio del Lanerossi sul campo di Modena (1-1). Nel 2009 conquista il terzo posto agli Europei Under 21 in Svezia, dove scende in campo contro Bielorussia (2-1) e Germania (0-1).


Il 1° Luglio del 2009 l’Udinese riscatta l’altra metà del cartellino di Morosini per 1,5 milioni, un investimento che pare rappresentare il trampolino di lancio verso il grande calcio. A sorpresa però la dirigenza bianconera opta per un nuovo prestito in Serie B, stavolta alla Reggina di Novellino: diciassette presenze prima dell’ennesimo cambio di maglia nel mercato invernale di Gennaio. Nel suo destino c’è il Padova di Di Costanzo prima e di Sabatini poi, per una seconda parte di campionato che si conclude con il diciannovesimo posto ed una salvezza conquistata soltanto grazie al doppio spareggio con la Triestina. Sono trenta le presenze stagionali per il mediano di Monterosso.


Nel 2010/2011 gioca appena tre partite con l’Udinese tra Primavera e Coppa Italia prima di tornare al Vicenza nella sessione invernale di calciomercato. Con Maran debutta il 7 Febbraio contro il Livorno (1-0), la squadra che lo vedrà per la prima volta con la maglia amaranto indosso l’11 Febbraio dell’anno successivo proprio contro il Vicenza (1-1). Morosini arriva a Livorno carico di speranze e con un bagaglio di esperienza di tutto rispetto per la categoria. Gli amaranto sono alla seconda partecipazione consecutiva in Serie B dopo la retrocessione del 2010 e sono invischiati nelle sabbie mobili di metà classifica. Il contratto di Morosini viene depositato nell’ultimo giorno di mercato, quello stesso 31 Gennaio nel quale il Livorno affonda all’Ardenza contro il Varese (1-3). Una settimana più tardi Piermario osserva i suoi nuovi compagni di squadra conquistare i tre punti a Castellammare di Stabia (2-1) prima di debuttare ufficiale in maglia amaranto nel successivo impegno casalingo della squadra di Armando Madonna. Tra Febbraio ed Aprile scende in campo contro Vicenza (1-1), Bari (1-2), Empoli (1-1), Albinoleffe (4-1), Reggina (1-2), Modena (2-2), Gubbio (2-1) e Padova (1-2). Con sole quattro vittorie nelle prime tredici partite del girone di ritorno il Livorno si ritrova paurosamente vicino alla zona retrocessione e deve necessariamente fare punti per allontanare lo spettro del ritorno in Serie C dopo dieci anni passati tra Serie A e B.


Sabato 14 Aprile il calendario propone la sfida proibitiva contro il Pescara di Immobile, Insigne e Verratti e reduce da tre sconfitte di fila con Ascoli, Bari e Varese. Sotto un cielo carico di pioggia le due squadre scendono in campo con obiettivi diametralmente opposti: il Pescara per sognare il ritorno in Serie A dopo diciannove anni di assenza, il Livorno per scacciare i fantasmi e tornare a fare risultato pieno dopo più di un mese. Zeman propone il collaudatissimo 4-3-3 con il futuro amaranto Anania tra i pali e con una panchina di lusso che annovera Capuano, Sansovini, Maniero e Gessa; Madonna si affida alla coppia Dionisi-Paulinho supportata per l’occasione da un altro bergamasco, Luca Belingheri da Lovere. Dopo quattro minuti gli amaranto passano incredibilmente in vantaggio con l’incornata di Dionisi che corregge in rete l’angolo di Schiattarella. Tre minuti più tardi è il brasiliano Paulinho a ritrovarsi sui piedi la palla dello 0-2, ma Anania è bravo a sventare la minaccia dopo un clamoroso svarione della difesa biancazzurra. Il raddoppio ospite è cosa fatta quando Belingheri indovina la punizione perfetta: la palla passa sotto la barriera e si infila beffarda alla sinistra del portierone milanese. La gara prende una piega inaspettata già dopo dieci minuti con il Pescata sotto di due reti e con il Livorno a manovrare forte del doppio vantaggio.
E poi si arriva al minuto trentuno.


Insigne si destreggia in mezzo a due avversari prima di scaricare su Immobile, ma gli occhi di tutto lo stadio si rivolgono verso quello che sta succedendo vicino alla panchina dei padroni di casa. Nel giro di pochi secondi Morosini cade a terra due volte e due volte tenta di rialzarsi prima di crollare a terra una terza volta. Si pensa subito al peggio. Il primo ad accorgersi della gravità dell’episodio è Schiattarella che si avvicina al compagno di squadra richiamando l’attenzione del direttore di gara. Sono attimi concitati. Dalle due panchine si gettano in campo giocatori e staff per soccorrere il giovane centrocampista livornese. E’ tutto surreale: un intero stadio ammutolito, i giocatori in lacrime e gli interventi frenetici dei medici accorsi sul prato dell’Adriatico. Soltanto qualche minuto più tardi l’ambulanza riuscirà ad entrare sul terreno di gioco per assistere il calciatore con le cure e con tutti gli strumenti giusti. Tutti, meno che il defibrillatore. Soltanto dall’autopsia eseguita sul corpo del calciatore si scoprirà la straziante verità: una cardiomiopatia aritmogena di origine ereditaria.


Poco prima delle 17 l’annuncio della morte di Piermario Morosini all’ospedale civico Santo Spirito di Pescara. Si tratta della seconda scomparsa di un calciatore del Livorno dopo quella di Rosario Aquino nel Marzo del 2000.
Tutto il mondo, del calcio e non, rende omaggio al campione venuto dalla provincia lombarda: la sua foto campeggia in tutti gli stadi italiani. La sera del 14 Aprile il Real Madrid ed il Valencia rendono omaggio a Morosini con un minuto di silenzio. Nei giorni successivi migliaia di tifosi, livornesi e non, si recano all’ingresso dell’Armando Picchi per lasciare una sciarpa, un mazzo di fiori o anche solo un pensiero per il ragazzo scomparso sul campo di Pescara.


Tre giorni più tardi, il 17 Aprile, l’intero stadio Armando Picchi di Livorno renderà omaggio alla salma di Morosini con un giro di campo sulle note di “Urlando contro il cielo” di Ligabue, una struggente coreografia intrisa di lacrime e tristezza per un ragazzo che dalla vita ha ricevuto troppo poco rispetto a quello che ha dato. Il 19 Aprile è la stessa città di Bergamo a celebrare l’uomo prim’ancora che il calciatore: ai funerali di Monterosso partecipano le delegazioni di Atalanta e Udinese ed un nutrito gruppo di tifosi delle squadre dove Morosini ha giocato. Come a Livorno, nella chiesa di San Gregorio risuonano le note di altri brani del cantautore reggiano del quale Morosini era grande fan: “Il giorno del dolore che uno ha” e “Non è tempo per noi” sembrano essere state scritte appositamente per questa occasione.


“Abbiamo perso un figlio e un fratello, il dolore grande ma sappiamo che non ci vuoi tristi ma con il sorriso, quel sorriso che illuminava sempre tuo viso”, le parole di Mariella Vavassori, mamma dell’allora fidanzata di Piermario Anna, che aggiunge: “Ciao Mario, ti ringraziamo della presenza nella nostra vita. Ci hai insegnato tanto, hai reso i nostri cuori più veri e leali, liberi come eri tu. Ti ringraziamo per aver donato tanto tanto amore alla nostra Anna. Ti chiedo solo un favore, chiamami Mariella e non più signora, almeno quando mi chiamerai dal cielo”.


Da quel 14 Aprile 2012 nessun altro calciatore di Livorno e Vicenza ha più indossato la maglia numero venticinque, una decisione alla quale sono seguite tante iniziative tra cui il Memorial Morosini ed una raccolta fondi destinata a Maria Carla Morosini, sorella del calciatore.


A distanza di dieci anni il ricordo di Piermario Morosini resta più che mai vivo nella memoria e nel cuore di tutti i tifosi livornesi, un sentimento condiviso con altre realtà sportive italiane e che accomuna interamente quel mondo dello sport troppo soggetto a tragedie di questo tipo e per il quale è necessario un cambio di rotta rispetto al passato: da quel maledetto 14 Aprile sono deceduti altri ventidue calciatori in attività, gran parte dei quali per arresto cardiaco.

Piermario aveva un cuore grande, una bontà d’animo che lo rendeva speciale agli occhi di chi lo ha conosciuto da vicino.
Piermario per sempre.

Fonti: La Stampa, Milano Today, colgadosporelfutbol.com (foto), Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport, Forzaroma.infocalcioatalanta.itcampionatoprimavera.com, Guerin Sportivo, Sky Sport, Wikipedia

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